“Obrigado. De nada.” Dalla frontiera alla padaria una parola risuona gentile: “obrigado.” Il mio ritorno in Mozambico inizia così, con gentilezza. Dopo le decine di migliaia di chilometri che ho avuto la fortuna percorrere negli anni in questo Continente, per me questo suona come un ritorno alle origini. Rivedo alcune regioni che visitai per la prima volta nel 2003, come il planalto de Chimoio o la provincia de Sofala. Chiacchiero con la guardia di un improvvisato campismo: “o Mocambique sta a desenvolver-se!” Ci sono nuove strade, nuovi ponti, nuove visioni. Imbocchiamo il ponte sul fiume Zambesi che porta a Tete, quando un impeccabile ufficiale mi chiede: “Que va a fazer?” Che bella domanda, penso. I camion sembrano sospesi su questo grande ponte, il controluce è meravigliosamente perfetto: la gente cammina lenta e le merci transitano a passo d’uomo. A guardare tutto questo andare e venire dalle rive del quarto fiume più lungo d’Africa mi pare di essere al centro di questo Nuovo Paese, di questa grande spinta economica africana.
Sfoglio la guida del Mozambico; il mio nome in copertina mi riporta alla tesi di Ilha, alla transafrica del 2004. Il sottotitolo è perfetto: “un nuovo antico Paese.” Tutto è a portata di mano, scorro l’indice e arrivo a Chimoio. La chiesa di Gondola è una perfetta Polaroid, mentre le antenne della Vodacom contrastano con una natura sconfinata; in attesa di alternative ed opportunità nelle campagne si vende il chacoral, la carbonella. Ettari di foreste se ne vanno, mentre stazioni di benzina conquistano il territorio, come antichi avamposti coloniali. Antichi, come il faro di punta Zavora, che dal 1907 illumina e dirige la navigazione al largo dell’Oceano Indiano. Il canto di un gruppo di donne in viaggio è immortale quanto il sentimento di fratellanza ed empatia. Semplice, come il profumo di un mango secolare. A te amanha, Mozambique.