Diario di viaggio di Irene e Luca, con AfricaWildTruck in Tanzania

…finalmente l’Africa, dopo numerose sere passate davanti agli spettacolari documentari del National Geographics, a sognare e immaginare di vivere quell’atmosfera magica degli scenari africani, eccoci finalmente pronti ad assaporare un pezzo di un continente smisurato. Pensiamo di aver preparato con attenzione le poche cose che ci serviranno durante questa avventura e per ordine d’importanza: le macchine foto con obiettivi, schede di memoria e accessori vari, un telefono cellulare per inviare qualche sms a casa e per controllare l’ora all’aeroporto; tutto il resto ci servirà per affrontare i diversi climi e le necessità ed emergenze sanitarie. Siamo anche curiosi, ormai, di conoscere Francesca, Stefano e Shukuru che ci accompagneranno a bordo del truck arancione e le altre persone che viaggeranno insieme a noi. Ho staccato la spina dalla routine di sempre e la voglia di arrivare mi dice che tutto andrà bene e ogni cosa, che non so o non immagino, saprà sorprendermi. Basta un assaggio di Dar Es Salaam per trovarci catapultati in un brulicare continuo di gente, che cammina ai bordi delle strade o è ferma ad aspettare qualcuno o qualcosa, forse un passaggio, che trasporta sacchi di farina, frutta, legna, carbone e qualsiasi altra cosa si possa portare sulla testa, o caricare su una bicicletta o un carretto. Per la strada l’aria puzza di smog, anche se la maggior parte delle persone è a piedi e il traffico normalmente non è paragonabile a quello dei nostri centri urbani. Avere un auto è davvero un lusso se pensiamo che un litro di carburante costa come andare al ristorante. Nonostante la confusione, i saluti e i sorrisi in particolar modo dei bambini davvero non mancano e non ci abbandoneranno fino alla fine del viaggio.

Un trekking nei Monti Usambara

Lasciata la costa di Dar, partiamo all’alba a bordo del truck per il primo spostamento verso il nord della Tanzania. E’ ancora buio fuori, sempre più persone escono dalle loro case per incamminarsi lungo la strada, molti di loro sono diretti in città per lavorare. Non ci sono zone disabitate intorno, ma villaggi sparsi un po’ ovunque, spesso capanne nascoste nella boscaglia da dove si vedono uscire frotte di bambini che con le loro divise bianche e blu devono raggiungere la scuola. In questo disordine di capanne, mattoni, lamiere e mucchi di rifiuti si trovano numerose primary school che sembrano anche in buono stato. La strada attraversa ora belle distese di vegetazione e piantagioni di sisal di un verde brillante che contrasta con la terra rossa. Ci fermiamo per una sosta in un tradizionale locale per il pranzo, prima di ripartire per la nostra destinazione: Monti Usambara. Questa zona, antica e caratterizzata da una delle maggiori biodiversità di flora e fauna del continente, è stata fortemente oggetto di disboscamento; dobbiamo addentrarci ancora per restare affascinati dalle foreste rigogliose in un clima fresco e umido. Mi racconta Stefano che qui è possibile avvistare numerose specie di uccelli…che imparerò a conoscere e i Colobus: le scimmie bianche e nere dal pelo lungo. Nonostante il cielo sia grigio e carico di nuvole, i colori sono così accesi di verde e rosso da non stancarsi di guardare. Il trekking all’Irente View Point è compromesso dal tempo che non accenna a cambiare e non ci permetterebbe di ammirare il panorama…così l’alternativa è quella di raggiungere le cascate accompagnati da una guida locale. Francis è un piccolo uomo (di sicuro la sua statura non supera il metro e 50), anziano di 73 anni, energico e magrissimo che ha insegnato alla primary school. Tutti infatti sembrano conoscerlo e salutano mentre percorriamo il primo tratto di terra battuta tra i villaggi. A dire il vero, a prima vista, Francis non è apparso proprio come la classica guida forte e sicura alla quale affidarci…ma poi ascoltandolo parlare, scopriamo che è buon conoscitore dei luoghi, perlomeno li ha vissuti e ogni giorno racconta che percorre circa 40 Km a piedi tra queste montagne. Riconosciamo alberi di avocado, mango, piante di caffè e varietà di fiori; le soste sono inevitabili quando i bambini, d’improvviso, ci circondano e non se ne vogliono più andare. All’inizio timidi, ma curiosi si avvicinano e alcuni mi prendono per mano. I rimproveri del maestro servono a poco perché i più temerari continuano a seguirci dalla distanza. C’è una bella atmosfera rilassata e il trekking passa un po’ in secondo piano! Dopo aver scollinato prendiamo il sentiero e passiamo accanto ad un cantiere (se così si può definire) dove stanno lavorando alcuni uomini, il ritmo è lento e non vogliono foto…poco avanti sul sentiero incrociamo donne che portano cesti di panni lavati sul capo e ci chiedono orgogliose se avevamo visto la nuova scuola. Le cascate, che si raggiungono in breve tempo, sono un bel luogo immerso tra grandi alberi e rocce…c’è anche la possibilità di fare il bagno, ma non se ne parla nemmeno perché l’acqua è ghiacciata! Fortunatamente durante il ritorno, decidiamo di deviare all’interno della foresta, attraverso un sentiero che la nostra guida definisce “no good” e alla domanda “is it hard?” la risposta è un deciso “Yes!”. Lo proviamo…e questo diventa il nostro toccasana, quello per cui ha veramente un senso questo trekking. Camminiamo nella vegetazione fitta popolata da scimmie, rettili e uccelli che possiamo solo avvertire…e quando si apre la piana della valle nell’erba alta, ci troviamo in un vero angolo di paradiso!

In giro per il mercato di Lushoto

Il giorno seguente decidiamo di passare una parte della giornata al mercato di Lushoto, la cittadina poco lontana da noi che attira, soprattutto il giovedì e la domenica, molta gente dai villaggi vicini. Improvvisamente dentro al mercato è un mescolarsi di odori, colori e voci; mi ricorda vagamente i suk tunisini e il mercato coperto dell’isola di Sal ma per fortuna qui nessuno conosce una parola d’italiano, tutti parlano lo Swahili e diversi dialetti, pochissimi l’inglese, è un incessante via e vai di gente…che però non ha fretta, la fretta che sappiamo noi è un’altra cosa! E’ facile perdere gli altri del gruppo, così ci muoviamo all’inizio soli io e Luca, (ovviamente siamo gli unici bianchi in giro) poi ritroviamo Francesca, Stefano, Luciano e Rodolfo. Non facciamo acquisti, ad eccezione di questo quaderno…perché troppo presi da quello che succede intorno. Proviamo anche il ristorante sulla via principale (forse l’unico che c’è) che ci prepara in poco tempo un piatto con riso, fagioli, carne e banana. Ci godiamo un momento di relax ed è l’occasione buona per scattare foto…tutto trasmette qualcosa, impossibile annoiarsi. Ritornando con il truck, nessuno immaginava che il primo vero avvistamento poteva essere quello delle famose scimmie; le abbiamo viste mentre saltavano fino ai rami più alti degli alberi ai bordi della strada: bellissime. Non riusciamo a restare fermi e in silenzio, il nostro trambusto le fa nascondere velocemente.

Parola d’ordine: SAFARI

Sapevamo, prima di venire qui, che la Tanzania aveva da offrire tutto ciò che è più tipico dell’Africa e subito si pensa alle immagini dei Parchi più noti e leggendari del continente. Ma solo vivendoli mi rendo conto che fare un “safari” non significa soltanto “osservare” gli animali selvatici ma molto di più…è un’esperienza coinvolgente, un modo di conoscere e apprendere un mondo incontaminato e a me quasi sconosciuto. A qualcuno sembrerà pure noioso alternare safari in ben 4 parchi diversi, ma vi assicuro, non è così!

Dormire tra baobab e iene

La mattina ha un colore grigio uniforme come la giornata di ieri, sperando che migliori continuiamo a ripeterci che è un tempo anomalo per settembre e per il luogo in cui ci troviamo. Luca pagherebbe per avere cieli a perdita d’occhio per le sue foto, ma non si può certo dire che l’entrata al Tarangire National Park ci lascia indifferenti; la savana è giallo ocra di erba secca e polvere e giganteschi baobab ci vengono incontro. La si può definire una giornata fortunata, ci sono animali ovunque, elefanti, giraffe, zebre e gnu, prima a piccoli gruppi poi mandrie di centinaia di esemplari. Ci rendiamo conto di essere veramente ospiti nel loro habitat…timidamente mettiamo i piedi giù dal truck e cominciamo ad allestire il campo per la sera. Tra le chiacchiere del gruppo mentre si attende il momento per mangiare, mi accorgo che un folto gruppo di manguste ci sta spiando…le preoccupazioni (o paranoie) di amici e genitori su “cosa mangerete?”, “ma mangerete?” sono già state smentite da un po’ e anche la prima cena al campo ne è una conferma! Dopo il briefing intorno al fuoco aspettiamo la parte più difficile: i rumori della notte; c’è chi si aspetta una visita particolare (elefanti o leoni) o semplicemente un sonno tranquillo. Io, tra quelli del sonno tranquillo, ho sentito solo iene e poco altro, mentre qualcuno, tipo Luca e Luciano, svegli per buona parte della notte ad aspettare un’alba che non arrivava mai, non hanno osato nemmeno uscire dalla tenda ad alimentare il fuoco nonostante la loro partecipazione fosse gradita dallo staff! (Stefano che si è alzato 3 volte!).

A più di 2.000 metri

L’alba ci sveglia con poche gocce di pioggia, sufficienti a inumidire e raffreddare l’aria e i vestiti da indossare… proprio stamattina che dobbiamo salire sugli altipiani della Nogorongoro Conservation Area. Per visitare il cratere di Ngorongoro bisogna percorrere un tratto di strada attraverso bellissimi altipiani formati da un’alta catena di vulcani e caldere. Ci affidiamo per questo safari a guide locali a bordo di jeep…che puntualmente al gate ha la batteria a terra e non ne vuole sapere di ripartire, poi basta un’energica spinta e l’inizio dello sterrato a far carburare il mezzo. In uno scorcio, il panorama sul cratere è surreale, tra nebbia, nuvole e vento. Capisco i motivi per cui questo luogo unico e assolutamente da conservare è stato dichiarato Patrimonio dell’umanità; difficile descriverlo per la vastità delle pianure, delle colline, dove sono sparsi Masai con i loro villaggi e il loro bestiame è sorprendente la quantità di animali selvatici facili da avvistare. Difficile immaginarsi che nel cratere, sebbene di 20 Km di diametro, si muovono indisturbati gnu, zebre, bufali, fenicotteri e ippopotami. L’avvistamento più emozionante è senza dubbio quello di 2 ghepardi che camminano a un tratto a fianco della nostra pista e poi l’attraversano: eleganti felini grandi più di quanto si immagini. Trascorse alcune ore, la fatica che ci aspetta è quella di nascondersi all’ombra delle jeep per poter concedersi uno spuntino senza che gli uccelli arrivino in picchiata a portarci via il cibo…in compenso il luogo in riva al lago è splendido.

Spettacolari contrasti

E’ qui che i panorami sono fatti per essere fotografati…il tempo è splendido e con il polarizzatore le nuvole schiacciano ancora di più il cielo ed è uno spettacolo continuo di contrasti tra l’esteso Lake Manyara, la savana, la foresta e le montagne a fare da cornice. Passiamo accanto ad alcuni cespugli da dove improvvisamente un leone un po’ “impaurito” (per quanto possa essere spaventato un leone) si nasconde, e non è solo, vediamo anche una splendida leonessa che cerca un po’ di tranquillità in uno spiazzo poco lontano. Il campo, questa volta, è nell’ombra della foresta e babbuini e scimmie circondano l’area…ci vuole il colpo di fionda deciso di Shukuru per cacciare un grosso babbuino che si stava avvicinando troppo. Da notare che se avesse provato a cacciarlo una di noi, in quanto di sesso femminile, non avrebbe ottenuto nessun risultato: incredibile ma vero!

Passiamo il confine

Siamo in viaggio da molto presto, entro stasera dobbiamo essere a Nairobi e aver passato senza troppi problemi la frontiera tra Tanzania e Kenya. Attraversiamo sconfinati panorami così diversi da quelli che abbiamo da poco lasciato, sono terre Masai, collinose e desolate; ci fermiamo lungo la strada per una colazione veloce, e ancora una volta arrivano a farci visita bambini e anche qualche adulto che immancabilmente ha qualcosa da venderci. Accettano il pane che ci è rimasto, mentre io cerco di scaldarmi al sole bevendo un thè, questa mattina è davvero freddo ed è inevitabile pensare che loro hanno addosso la metà dei nostri vestiti. Alla dogana tutto fila liscio…passaporti e visti, dalla parte tanzaniana ci fanno riempire un modulo di gradimento sui servizi trovati con suggerimenti, segnalazioni di quello che andrebbe migliorato…e così fiduciosi dell’iniziativa consegniamo i fogli compilati. Per arrivare al famoso Masai Mara, Nairobi è una tappa obbligata e anche poco tranquilla; della città intravediamo solo qualche scorcio: i palazzi del business nel centro, i giganteschi cartelloni pubblicitari che coprono le strade e le baraccopoli, tanta gente con o senza auto. Restiamo bloccati nel traffico e nello smog per alcune ore, ci resta solo il tempo di lavarci e riposarci per riprendere le energie necessarie per lo spostamento di domani.

Sterminati altipiani

La mattina ci riserva 2 notizie, una buona e una cattiva…iniziamo dalla cattiva che riguarda le condizioni della strada (non è stata sistemata come si sperava…) e la buona è che siamo in piena migrazione! Per quanto riguarda la strada bisogna provare per credere che l’unica via che collega Nairobi e il Masai Mara è una strada che non c’è…o meglio è quel che rimane dai cantieri che l‘hanno ridotta da diverso tempo a una pista in terra battuta con pezzi d’asfalto, buche e improbabili deviazioni. Si salta troppo per evitare i bruschi colpi alla schiena e anche per riuscire a bere un sorso d’acqua senza farsi una mezza doccia. Ci è voluto tutto il giorno per percorrere quei 250 Km! ma la fatica viene ricompensata alla vista degli sterminati altipiani e un bellissimo tramonto. Montiamo le tende in un’area di nuovo attrezzata per fare camping…troviamo infatti un posto coperto per cucinare e mangiare, dei servizi e soprattutto il caloroso benvenuto Masai, uno di loro sorveglierà il nostro campo per tutta la notte e ci guiderà nel safari di domani. Partiamo già sotto il sole, ed ecco che basta spostarsi un po’ e guardarsi intorno per perdere l’orientamento perché ovunque si guardi ci sono infiniti orizzonti…gli animali si concentrano nelle zone rimaste verdi, tantissime gazzelle, topi, giraffe, zebre e gnu. Ci affidiamo alla nostra guida alla ricerca dei predatori e subito ci troviamo a pochi metri da due leoni che si stanno accoppiando, incredibile osservarli e ancora di più ascoltarli! Non ce ne saremmo più andati ma forse è meglio non disturbarli troppo e raggiungere il fiume per vedere se le mandrie di gnu attraverseranno la corrente. Ce ne sono moltissimi…ma di attraversare oggi non se ne parla, si compongono e scompongono avvicinandosi alla riva ma ogni volta indietreggiano. Ci vorrebbero altri giorni per fermarci a seguire gnu, zebre o i ghepardi cacciare…ma purtroppo la spedizione sta per finire! Il nostro giovane Masai ci invita anche a visitare il suo villaggio, ma proprio perché il tempo che ci rimane è poco, ci accontentiamo di ascoltarlo mentre ci racconta del periodo vissuto nel bush. E’ tradizione che il passaggio all’età adulta sia accompagnato da rituali, sia per i ragazzi che per le ragazze; i giovani dopo i riti iniziatici assumono il ruolo di “guerriero” e trascorrono alcuni mesi o anni in piena libertà nella foresta. Per questo, nascono le storie sull’uccisione dell’elefante e del leone, mai per la caccia ma per superare prove di coraggio o sopravvivenza. Anche se a noi “occidentali” possono sembrare storie al limite dell’inverosimile, non ci sono motivi per cui non crederci, non esiste nella loro cultura l’arte di raccontare cose non realmente accadute, solo per vantarsene, come qualcuno forse potrebbe pensare. Infine dopo aver cenato, ci riuniamo intorno al fuoco per assistere alle danze tribali.

Ultima tappa

Nairobi: troppo rischioso uscire la sera…c’è un bel locale accanto al nostro alloggio dove si può cenare per gustare pollo e capra alla griglia, una vera specialità! Da quando siamo qui ci siamo abituati ai ritmi lenti del posto e della gente, ma mai abbastanza riusciremo a capirli fino in fondo. La bellezza disarmante della natura e delle persone fanno di questo pezzo d’Africa un luogo unico, dove ogni essere umano prova un piacere speciale nel ritornare.

Un grazie speciale a Francesca e Stefano, con loro è stato come viaggiare con due amici, a Luciana e Gian, che ci hanno fatto un po’ da genitori, a Giusi, per la calma e la dolcezza, a Luciano, eccellente riproduttore dei suoni della savana, a Rudi, che ha tenuto su la compagnia e a tutto il resto del gruppo di Africa Wild Truck.

Irene D.