di Ire&luca

Sbarchiamo a Lilongwe dopo diverse ore di volo, e i soliti scioperi e ritardi dei trasporti italiani… questa volta con noi, ci sono Lorenzo e Marco partiti insieme da Parma, poi Sarit, Anny, Laura, Gianluca e Max incontrati a Roma; ad accoglierci all’aeroporto eccoli: Francesca e Stefano con Edoardo e Davide, reduci da due intense settimane di reportage africano. Il gruppo è al completo, e in pochi minuti siamo pronti a lasciarci alle spalle la stanchezza e ripartire, perché anche le settimane che verranno non saranno da meno! In realtà siamo davvero al completo solo fuori, nel parcheggio il truck arancione è lì ad aspettarci lo stesso inseparabile compagno di viaggio dell’anno scorso! Alloggiamo per questa notte in un bel posto tranquillo appena fuori Lilongwe e la sera attorno al tavolo ci scambiamo le prime battute. E’ la passione per la fotografia il comune denominatore del gruppo, anche se confesso, per ora non si parla d’altro che di caratteristiche tecniche di fotocamere, obiettivi, software, Nikon o Canon, pc o Mac (aiuto!!) Certamente un Nikon School Travel non è un’esperienza come un’altra, questo è solo l’inizio! Solo il briefing del capo (Stefano) riporta l’attenzione sui quattro giorni di safari che da domani ci aspettano.

Sapevamo che avrebbe fatto caldo… ma forse non così! Le temperature salgono velocemente mentre ci spostiamo verso il South Luangwa National Park; a poco a poco che si scende di quota il sole diventa insopportabile e l’aria è bollente, come l’acqua delle nostre taniche. Passato il confine, la strada è a tratti asfaltata e a tratti no, della solita terra rossa, piena di polvere, pietre e buche. Nonostante il parco sia tra i migliori dello Zambia, in grado di offrire ricchi scenari di natura incontaminata, la strada per arrivarci da Chipata è questa. La valle appare come una vasta area remota tagliata dal grande letto del fiume; lo vediamo nella stagione secca e ci lascia immaginare quale forza può raggiungere durante le piogge. Apriamo le tende proprio sulla sua riva, la posizione del campo è spettacolare, con gli ippopotami che rumoreggiano giù in acqua, coccodrilli e uccelli. Fa buio presto e quando andiamo a dormire ci sentiamo soffocare dal caldo, forse ci serve un po’ di tempo per abituarci… ancora qualche parola tra una tenda e l’altra e crolliamo nel sonno. E’ l’alba e nelle tende il termometro ha già ripreso a salire, si cerca fuori un po’ d’aria fresca, quando ci accorgiamo che c’è un gruppo di elefanti che si sta avvicinando… ancora un po’ assonnati, ma abbastanza svegli, da sentire “ragazzi tutti in tenda!” restiamo immobili, in religioso silenzio ad ammirare dal basso prima uno, poi due, tre elefanti che strappano le foglie sopra la nostra testa sfiorando delicatamente le tende (nessuna crisi di panico solo un’emozione fantastica!).

Abbiamo la possibilità di esplorare parte del parco a piedi, in walking safari, calpestando la terra sotto i piedi, tra la boscaglia, osservando la vegetazione, le impronte e gli escrementi lasciati dagli animali, da quegli degli elefanti si produce un particolare tipo di carta!. Percorriamo sentieri che hanno aperto bufali, zebre, leoni e la presenza dei rangers armati, ci fa capire che quaggiù siamo un anello della catena alimentare. I giorni al South Luangwa passano lenti nel caldo soffocante della fine della stagione secca, quando il fiume e le lagune iniziano a ritirarsi, e si vedono numerosi uccelli acquatici che pescano camminando nell’acqua bassa. Cicogne, marabù, aironi e uccelli migratori. Non è difficile nemmeno avvistare la fish eagle (l’aquila pescatrice), riconoscibile da un grido acuto. Ma uno spettacolo speciale ce lo riservano gli storni di centinaia di carmine bee eaters (mangiatori d’api carminio) dalle piume rosso vivo, che arrivano fin qui per nidificare in grandi colonie sulle scarpate sabbiose del fiume. Ci fermiamo proprio sulla riva del fiume a goderci l’atmosfera del tramonto, tra una birra fresca e branchi di bufali ed elefanti che passano a poca distanza da noi. Pochi minuti più tardi è già buio inoltrato, e il nostro ultimo night drive ci riserva una scena degna dei migliori documentari naturalistici: i leoni che divorano un’antilope appena cacciata! Avremmo voluto rimanere lì per ore ma alle 8 è regola lasciare il parco, dopo tutto rimane un’impressione forte come l’odore crudo del sangue e delle interiora che mi sento addosso fino a quando non riesco ad addormentarmi.

Lasciamo gli sconfinati territori del Parco per rimetterci in viaggio ed entrare nel vivo della fotografia di reportage (il vero motivo per cui siamo qui!); ci aspettano realtà da scoprire da vicino e ogni momento o sosta può riservarci lo scatto giusto. Il primo banco di prova è la Tribal Textile, un laboratorio artigianale di tessuti a pochi Km dall’uscita del parco, vivace con colori a tinte forti, ma fotograficamente difficile causa la luce di sfondo che è fortissima. In compenso il risultato di questi artisti è davvero sorprendente, vengono realizzati pezzi unici utilizzando tecniche manuali su tessuti di cotone prodotto qui in Zambia. Viene inizialmente definito il motivo con un miscuglio di farina e acqua che sarà poi riempito con i colori creati di volta in volta. La zona dove dipingono è all’aperto sotto una grande tettoia e all’interno invece, ci sono i sarti nascosti tra le macchine da cucire che danno una forma alle stoffe.

Pochi Km e ci imbattiamo in un villaggio abbastanza “vivo” da meritare una sosta di qualche ora…. ci sono folle di bambini che ci vengono incontro per farsi fare una foto e giocare, uno di loro, ci accompagna a vedere la sua casa, piccola ma dignitosa, poche finestre e sulla soglia la madre con in grembo un piccolo che avrà avuto qualche mese. All’interno un’unica stanza con delle poltrone di velluto verde, un tavolo e le sedie, ordinato e pulito. In giro per il villaggio siamo attratti dal pozzo dove le ragazze attingono l’acqua e da un cortile polveroso dove una donna fa il bagno a un bambino seduto su un secchio. Mi avvicino infine alle botteghe che si affacciano verso la strada, e noto che c’è una strana curiosità intorno all’attività della parrucchiera… vedo Davide e gli altri così presi nel far foto… e capisco presto il motivo: sembrano modelle, donne attraenti dai lineamenti bellissimi….

Riprendiamo la strada fino alla sosta di mezzogiorno alla cucina della Mamy per gustare le sue omelette. Ad accoglierci un bel gruppo di donne festose, sostenitrici della campagna elettorale di Ruphia Banda (il candidato alla nuova presidenza del paese che è in visita in città). Le immagini e gli slogan di Banda, appunto, rimbalzano dalle magliette, alle gonne, ai volantini, ai canti che intonano per noi. Il restaurant diventa un affollato set fotografico, chi è fuori nella veranda, chi dentro, chi in cucina dove uova e patate stanno friggendo. Divertiti e sazi ripartiamo.

Raggiungiamo il centro di Chipata, terza città dello Zambia, per visitare Radio Breeze, dove il direttore della radio locale ci attende. Ci spiega che riescono a trasmettere per alcune centinaia di Km tra Zambia e Malawi e che si occupano di attualità, progetti e informazione, oltre che di musica; proprio oggi, molti di loro sono impegnati a seguire la visita di Banda. Nelle pareti scure, dentro le postazioni di chi lavora quaggiù e nelle loro parole, si sente forte l’impegno e la consapevolezza dell’importanza della radio, che rimane ancora oggi il mezzo di comunicazione più diffuso nel paese. Sembra di fare un salto nel passato, quando negli anni ’70 nascevano in Italia le prime radio libere, delle vere e proprie “navi scuola” per speaker, tecnici, autori, giornalisti, in epoche in cui non esisteva internet, aprire una radio o collaborare a una di esse era per i giovani uno dei pochi modi a disposizione per comunicare e distinguersi in qualche modo dal gruppo… Ecco, qui accade qualcosa di molto simile (anche se l’epoca è quella di Internet!).

Questa sera campeggiamo in un posto carino, fuori città, con tanto di banco birra e tv… lo dividiamo con un gruppo di ragazzi giovanissimi rigorosamente inglesi, americani o qualcosa di simile che girano il continente in lungo e in largo, su un grosso truck, con l’unico scopo di fare migliaia di Km.

La mattina seguente improvvisiamo due visite a fabbriche che troviamo lungo la strada. Il cotonificio è gestito da cinesi, che non ci negano l’accesso ma si mostrano piuttosto restii a mostrarci la lavorazione, quasi temessero uno spionaggio industriale! Riusciamo a vedere solo una parte dello stabilimento, dove il cotone arriva, appena raccolto, e viene pulito dalle impurità che può contenere. Le macchine sono, neanche a dirlo, di fabbricazione cinese e non si vede l’ombra di un operaio… solo sacchi di cotone e semi trattati di un colore rosa shock. Siamo continuamente controllati a vista e velocemente veniamo invitati a concludere la visita. Fortunatamente, a poca distanza, la Kwa Cha Milling, che riporta a grossi caratteri la scritta “food for health”, si rivela più accessibile. Ci sono situazioni interessanti e finalmente vediamo persone che lavorano con tute, mascherine e caricano pesanti sacchi di farine sui tir. Nessuno mette fretta, c’è il tempo per fermarsi a osservare e scattare… soddisfatti, ringraziamo per la visita e ripartiamo.

Improvvisamente il truck si ferma di nuovo… un po’ sorpresi ci chiediamo il motivo di questa sosta inaspettata. Ci affacciamo dalle sponde e vediamo dall’altra parte della strada Edoardo che sta accordando, con una schiera di uomini in tuniche rosse, il permesso di fermarci: stiamo per assistere al Gule Wamkulu, ovvero la cerimonia in onore della visita del Re dell’etnia dei Chewa. Ci mescoliamo velocemente tra la folla e ci sediamo tutti a terra quando arriva il grande capo, con tanto di scorta, e raggiunge il posto a lui riservato per iniziare il discorso. Tiene in mano una specie di “scettro” di colore scuro, fatto con la coda di giraffa o forse di elefante; viene interrotto solamente dai canti e dalle danze tribali. Ci rendiamo conto di essere stati davvero fortunati, ad esserci trovati nel posto giusto al momento giusto, per il semplice fatto di aver potuto assistere ad una delle cerimonie tradizionali della tribù.

Entro sera dobbiamo raggiungere Dedza, a sud di Lilongwe, percorrendo la strada asfaltata che corre lungo il confine con il Mozambico. Il paesaggio è vario; il Malawi, stretto tra le montagne e il lago è uno dei paesi africani più densamente popolato, le case e le capanne sono sparse e la gente, solitamente a piedi o in bicicletta la si incontra un po’ ovunque. Dormiamo proprio accanto alla fabbrica di ceramiche che visiteremo domani mattina presto; il lodge è curatissimo nei particolari, dai lavandini, ai portasaponi, le docce, i piatti e le tazze, tutti prodotti quaggiù. Sveglia di buon ora per colazione ed entrare alla Pottery… ma ancora non si vede nessuno! Eccoci finalmente pronti, e, dalle argille ai forni attraversiamo le varie fasi della lavorazione della terra. C’è una bella luce che filtra dalle porte e dalle finestre su uomini, bianchi di polvere, che lavorano. Passato lo smarrimento del primo momento, di fronte alla varietà delle situazioni che ci si presentano davanti, incominciamo a scattare cercando di cogliere azioni ed espressioni che raccontino qualcosa. Non si scatta più in preda all’emozione dell’attimo ma si tenta (per quanto si possa riuscire) di avvicinarsi il più possibile ai soggetti, muovendoci intorno a loro, a volte inginocchiati o distesi per terra, altre volte in alto su troni improvvisati, consapevoli dell’azione invasiva verso di loro. Eppure si compone un mosaico misto di curiosità, incredulità e ilarità difficile da descrivere ma che forse un buon scatto può trasmettere.

Ci spostiamo ancora verso sud, fino a Zomba, e salendo sugli altopiani il clima è decisamente più fresco. Chissà cosa sarà rimasto di quella cittadina coloniale che fu anche capitale del Nyasaland alla fine del ‘800, quando il Malawi era un protettorato britannico. Certo qualche edificio un po’ decadente c’è ancora, compresa la residenza del governatore Johnston risalente al 1886, che oggi è divenuta albergo statale e dove pernotteremo per 2 giorni. Le sale e le camere hanno mantenuto le caratteristiche dell’edificio originale, pur senza nascondere i segni del passare del tempo e del degrado, bellissimo comunque il giardino e le montagne che ci fanno da cornice.

La parte più viva della città la troviamo nel mercato, il centro nevralgico e commerciale, affollato di donne, bambini, venditori di pomodori, patate, legumi, carni appena tagliate, pesce essiccato, polli e galline (questi ancora vivi), bottiglie riciclate e il solito misto di odori e sapori che si sente in ogni mercato da queste parti.

Lasciamo gli Zomba Plateau per raggiungere la zona di Thyolo dove si estendono le piantagioni del tè, che rappresentano per il Malawi una delle produzioni principali del paese, insieme al tabacco. Le dolci colline ricoperte di un verde brillante si aprono a perdita d’occhio, lo spettacolo è davvero grande; svoltiamo per entrare nella piantagione di Satwema e percorriamo ancora alcuni Km in una strada rossa in mezzo ai campi. Passiamo accanto ad alcune abitazioni e alla fabbrica, fino a raggiungere una delle case di inizio secolo che veniva usata dai vecchi proprietari e che adesso è possibile prendere in affitto. Non ci abbiamo ancora messo piede che ne restiamo già incantati… è una grande casa bianca con una bella veranda sul davanti e immersa in un giardino rigoglioso. Ad accoglierci c’è Francis, una sorta di custode maggiordomo della casa, così gentile e riverente che a volte è quasi imbarazzante! abituati ad arrangiarci da soli, è strano ritrovarsi una persona che pensa alla spesa, a cucinare, pulire e riordinare tutto. La veranda e il salone diventano il posto perfetto dove allestire tutto l’occorrente per scaricare e guardare le foto, ma anche per scambiarsi impressioni, raccontare storie di viaggi passati e godere del piacere di idearne dei nuovi. La sveglia è all’alba, ed è la prima volta che il sole lascia spazio a nuvole e nebbia… il mio mal di gola persiste e sono completamente senza voce (l’aria in faccia di ieri non deve aver fatto bene alle mie tonsille), così penso bene di restare a letto ancora un po’ e lasciare agli altri lo spettacolo là fuori. Verso le nove, tornano Francesca, Luca, Stefano entusiasti e certi di aver fatto un buon lavoro… tanto tutti sappiamo che quando vedremo le foto di Edo… non ce ne sarà più per nessuno. Sarebbe buona regola far passare le ore più calde della giornata a oziare in un comodo posto al fresco, per poi uscire fino al tramonto in giro per i campi, ma i lavoratori finiscono presto, quindi eccoci a piedi sotto il sole in cerca di altri scatti. E’ piacevole incontrare le persone, sempre disponibili e sorridenti e godere di questo paesaggio straordinario. La piantagione risale al 1901 e in ogni campo è indicato l’anno d’impianto, la specie e la provenienza delle piante di tè coltivate. Siamo fermi con un gruppo di raccoglitori, che terminata la raccolta, vuotano i sacchi che portano sulle spalle, su teli distesi a  terra per poi riempire di nuovi altri sacchi, pesarli e caricarli sul trattore che li porterà giù fino alla fabbrica. Attendiamo l’arrivo del mezzo che in pochi minuti viene caricato… saltiamo su anche noi per un passaggio tra lo stupore e il divertimento generale. Se vogliamo fare un bilancio… posso dire che abbiamo trascorso qui le migliori giornate del viaggio, sicuramente per la particolarità dei luoghi, le atmosfere e la cordialità della gente, nonostante durante la visita alla fabbrica del tè non ci abbiano permesso di fotografare.

Passiamo gli ultimi giorni tra le rive del lago Malawi, vicino ad un villaggio di pescatori che vivono di un’economia di sussistenza basata sul pesce pescato ed essiccato, e la Missione di Mua, fondata dai Padri Bianchi a inizio ‘900, un centro culturale che ospita oltre ad una scuola, un ospedale e una chiesa, un museo che raccoglie immagini, testi e maschere che testimoniano la vita nei villaggi delle culture Chewa, Ngoni e Yao; regole e tradizioni importanti che si mescolano e si scontrano con i ritmi di una vita più “moderna”. Basta pensare che nelle campagne sono ancora le tradizioni tribali a scrivere il destino delle donne: lo sposo si trasferisce a casa della sposa, che per lui resterà una dimora provvisoria perché la sua vera famiglia è quella d’origine; la sorella e la madre sono superiori alla moglie e i figli della sorella più importanti dei suoi.

Il Malawi, pur essendo tra i paesi più poveri al mondo ma scampato a guerre civili, come quelle che hanno devastato alcuni dei paesi vicini, appare a chi lo visita per la prima volta un luogo tranquillo dove il tempo sembra essersi fermato; “il cuore caldo dell’Africa” (così come lo definisce lo slogan dell’ente del turismo locale) con la sua gente amichevole e riservata, le case in mattoni, ci ha fatto sembrare meno duro l’impatto con questo continente, ma in fondo è solo un gioco di apparenze.

Un grazie a tutti coloro che hanno condiviso con me questa esperienza:

Luca, Lorenzo, Marco, Sarit, Anny, Laura, Davide, Gianluca, Max,

Edoardo “maestro” e “vero toscano doc”, Francesca e Stefano

eccezionali come sempre nell’organizzazione del viaggio.

Irene D.

Zambia e Malawi: l ‘incontro con un popolo tra le verdi colline del tè