"…per me la fotografia è filosofia, è vita e io sono i miei scatti. I miei pensieri sono le immagini che devo ancora scattare mentre le immagini che ho scattato sono la mia realtà quello che occhi, mente e cuore hanno visto e vissuto. Nikon School Travel è un viaggio fotografico e, almeno per me, oltre a una scuola di tecnica è anche una scuola di vita.

Trovo molto difficile comunicare a parole le mie sensazioni, quello che sento veramente, tento così di scriverle, ma spesso il mio vocabolario è povero e la forma è quantomeno modesta. Lascio perciò alla luce l’onere della scrittura. Credo di essere un buon fotografo, ma un mediocre oratore. Forse è per questo che ogni sera in viaggio accendo il computer, scarico le foto dalle mie D3 e cerco di condividere con gli altri le emozioni della giornata. Mi piace far vedere i miei scatti perché sono le mie foto a parlare per me e l’insegnamento è sicuramente migliore. ViewNX e CaptureNX diventano i miei due fedeli assistenti.

Ultimamente però mi sono domandato più volte se in questi miei workshops s’impara realmente a fotografare o meglio se ho veramente qualcosa da insegnare. Mi immagino i partecipanti prima della partenza porsi la stessa domanda che il figlio di Rodgers rivolse a suo padre in una lettera scritta nel 1970: "Padre cosa devo fare per diventare un bravo fotografo?" La sua risposta fu: "… Come si può rispondere su qualcosa che non ha una spiegazione tecnica, che è impalpabile e proviene dall’interno?"
Ognuno infatti deve fare le proprie esperienze e la fotografia, quella con la F maiuscola, è un cammino nella vita, un continuo arrivare e partire, un’instancabile ricerca, un mettersi continuamente in discussione. Ecco perché la fotografia è intimamente legata al viaggio ed ecco il perché del "mio" Nikon School Travel: tre parole in cui si condensa tutta l’essenza di quanto scritto fino adesso.
Il viaggio è un elemento cardine. La scelta e la programmazione sono importanti quanto lo svolgimento. Nello specifico Stefano e Francesca dell’Africawildtruck sono stati magistrali. Ci hanno condotti sul loro camion arancione tra Malawi e Zambia con estrema professionalità soddisfacendo le continue richieste di noi “assetati” d’immagini.

David, Lorenzo e Sarit mi seguono tra le colline del tè camminando all’alba immersi in una incredibile nebbia da cui appaiono come fantasmi giovani raccoglitrici impegnate a strappare le piccole foglie verdi. Gli altri hanno preso una direzione diversa tra acacie a ombrello e boschetti di alberi di gelso; sono Stefano, Massimo, Gianluca, Marco, Luca, Irene chi sdraiato in terra, chi dall’alto, chi appoggiato ad un tronco tagliato tutti comunque alla ricerca dello scatto migliore, della foto da riportare nel proprio album di ricordi.
E la sera, Laura e Anny prima di tutti, ci ritroviamo dietro al mio computer. Allo scorrere delle immagini ecco i primi commenti: “ma quando hai fatto quella foto, ma dove ero, ma eravamo in posti diversi?”“No”, rispondo “facevamo tutti lo stesso viaggio e molte volte eravamo tutti insieme, ma è giusto così. È giusto che i vostri scatti siano diversi dai miei, è giusto che gli scatti di ognuno di voi siano diversi da quelli del vostro compagno. Non dovete copiare le immagini di nessuno, tanto meno le mie perché altrimenti alla fine quello che porterete a casa, saranno le mie emozioni, la mia esperienza, la mia vita e non la vostra. Certo la mia presenza è importante, in alcuni casi direi fondamentale, come lo è il regista la cui impronta deve emergere dal taglio del film, ma l’interpretazione è lasciata alla bravura dell’attore. Io divento quindi il mezzo, lo strumento necessario per cominciare a “leggere” il mondo in un modo diverso, forse nuovo. A capire come muoversi intorno al soggetto, a cogliere la luce, a enfatizzare nel taglio e negli sfondi certe azioni. Quindi sicuramente nei vostri scatti si percepirà la mia influenza, ma, tra le righe, si dovranno leggere le vostre di emozioni e non più le mie.”
Ecco quindi che nei miei viaggi il concetto di School esce dai canoni classici dell’insegnamento. Non solo la tecnica, della quale comunque ne discutiamo praticamente tutto il giorno – che si potrebbe però anche imparare in centinaia di libri di testo – ma un approccio diverso alla fotografia. Ecco perché, in questo report, non ho voluto approfondire più di tanto quello che abbiamo visto, gli incontri fatti o le feste a cui abbiamo assistito. Non ho parole adatte per descrivere questo modo di vivere il viaggio fotografico se non con la fotografia stessa. Ecco quindi l’invito a guardare le immagini allegate frutto di una attenta selezione.
Concludo con una speranza: se quando ci ritroveremo tutti insieme a commentare gli scatti stampati, osservando le foto dei partecipanti mi troverò a dire anche io: “ma facevamo lo stesso viaggio?” Allora sarò contento perché, forse, sarò stato un bravo insegnante in quanto avrò risposto alla domanda: “Padre come faccio a diventare un bravo fotografo?”

Edoardo Agresti